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«SERAFINO, PERDONACI TUTTI»

di Salvatore Audia

Avevi scelto di vivere, obbligato anche dal lavoro, in una città, Cosenza, che per sanità è l’ultima in Italia, ma tu amico mio hai voluto strafare e a causa di quel maledetto malore quel giorno ti sei trovato nel luogo più sbagliato in un momento ancor più sbagliato. È sembrato come un film di quelli dove i protagonisti non hanno scampo, devono morire. Un luogo che molti, un po’ per vezzo un po’ perché forse lo avranno letto da qualche parte, si affannano o a chiamare città. Una “città”, la nostra, dove la sanità non rientra in nessuna classifica e non perché l’Agenas che ogni anno pubblica la nuova classifica degli ospedali d’Italia se n’è dimenticata, no, amico mio no. Semplicemente perché in questo luogo, in questa famosissima “città” dell’entroterra calabrese, San Giovanni in Fiore, la sanità non esiste; o peggio c’era, eccome se c'era, ma lentamente col passare del tempo e con i provvedimenti legislativi nazionali e regionali fatti da destra e sinistra, atti a tagliare servizi sanitari perché troppo dispendiosi, è andata scomparendo. Perdonaci, Serafino, non siamo stati capaci di comprendere che nel tempo ci veniva levato il futuro stesso di questo luogo, scusa, di questa “città”, non vorrei che qualcuno si offendesse. Nel tempo abbiamo creato e il dramma è che più convinti lo facciamo ancora oggi, carriere politiche a destra e a manca, di politici che per la nostra sanità si sono stracciati le vesti, sempre, lo avrai notato anche Tu amico mio; personaggi che a tutto hanno pensato tranne che a mettere un punto fermo: “da qui non si passa, la sanità, l’ospedale di questa montagna non si tocca”! Perdonaci, Serafino. Le colpe non sono solo loro. E si perché se esistono o sono esistiti questi politici, la colpa non è solo loro, no. La responsabilità è soprattutto nostra, che siamo stati, ma lo siamo anche oggi, sempre pronti con la bocchetta dell’ossigeno per continuare a perpetuare le loro carriere politiche, anzi siamo così masochisti che per loro facciamo anche il tifo. Guarda Tu fino a che punto ci devi perdonare.

La sanità è servita sempre come specchietto per le allodole, come spinta propulsiva per le campagne elettorali di tutti, per avere indietro il consenso. Quel maledetto consenso che ha permesso scalate verticali nei meandri delle istituzioni. Perdonaci, Serafino. Non perché tu debba assolvere chi che sia, no. Chi avrà sbagliato in ciò che ti è accaduto dovrà pagare, sempre se un giorno la giustizia farà veramente luce sui fatti. Devi perdonarci perché non abbiamo capito nulla. Siamo in ritardo su tutto. Negli ultimi tempi poi ci siamo innamorati dell’apparenza mettendo da parte la sostanza. Vendiamo prodotti che in magazzino non abbiamo. Che popolo siamo noi? Non siamo forse il popolo che adora le feste? E si, che siamo il popolo che si atteggia a farsi le fotografie su un tratto di strada strappato a tutti, perché a tutti serviva per meglio muoversi, e consegnato agli amanti dei ritrovi super illuminati. Poi però andiamo a fare “silenzio” nelle marce. E si perché poi che diranno se non mi vedono, ci vanno tutti! Perdonaci, Serafino. Il rumore che hai provocato spero duri il più possibile, anche se non ho tanta fiducia che nel frattempo cambi qualcosa. E si, amico mio, è assai difficile che cambi qualcosa in una terra così bella e sfortunata; un barlume di speranza a dire il vero lo percepisco non tanto da chi oggi ha il potere o dai soliti noti che conosci bene anche Tu, ma dai ragazzi che ho visto piangere in quella passeggiata silenziosa che loro stessi hanno organizzato per Te, perché Tu amico mio, diciamoci la verità, non dovevi morire. Per Te si dovevano muovere le montagne ma non si sono mosse, perché Tu eri un ragazzino e non un novant’enne alla soglia di Pietro. Per te non c’è stato un luminare di cardiologia, che veniva da chissà dove, a strapparti alla morte, no, Tu, era destino che dovevi morire in quel 4 gennaio del 2025. È assai difficile che cambi qualcosa caro Serafino, ma se dovesse accadere, è grazie a Te, che hai lasciato i tuoi cari, le tue bambine, tua moglie, i tuoi genitori, i tuoi amici nello sconforto più totale; e comunque amico mio, neanche la migliore delle cliniche, magari coi pomelli d’oro, colmerebbe la tua assurda assenza. Perdonaci, Serafino.

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