*lo stesso articolo è presente nel numero di giugno de "ilQuindicinale"
La questione dei lavoratori delle Legge15/2008 è assai seria. Ad oggi nel comune di San Giovanni in Fiore ne gravitano 310 (104 donne – 206 uomini).
“Precario” è una condizione di instabilità. Una vita dove tutto intorno a te è condizionato, nel bene e nel male, dallo stato di insicurezza in cui ti trovi. Ci si alza la mattina, si scende dal letto e si comincia a pensare da precario, ci si reca al lavoro per svolgere un dato numero di ore che a stento tengono in piedi quella dignità che da quasi vent’anni viene calpestata puntualmente da chi tiene i fili del destino di ognuno, in relazione con il mondo del lavoro. Il precario non può fare altro che provare ad immaginare la quotidianità, o al massimo un periodo che non può andare oltre a un mese o due; ti ammali e non hai una copertura economica per le assenze per malattia e quindi, tu presenti il tuo certificato prescritto dal medico, o le attestazioni di un ricovero o altra certificazione dove si attesta che non puoi svolgere attività lavorativa, ma comunque poi sei costretto a recuperare i giorni di assenza, questa è la vita di un precario della legge 15.
Usufruisci di giorni di ferie, bene, ma per un bizzarro e alquanto strano disciplinare, il precario al rientro deve recuperare 2/3 ore per ogni giorno di assenza. E delle mansioni ne vogliamo parlare? Il precario, trattato come ultima ruota del carro, sa solo che deve lavorare, poi quello che gli viene assegnato quando arriva al lavoro si può trasformare anche in una sorpresa: oggi ti tocca aggiustare una buca sull’asfalto, domani sei un addetto alla potatura degli alberi, dopodomani ti ritrovi a fare il muratore, e l’indomani ancora svolgi, se necessario, attività perfino in ospedale (così almeno ci è stato detto); spesso accade, cosa assai grave, che il precario svolge il suo lavoro senza sufficienti attrezzature per l’antinfortunistica; sei precario, che vuoi? Te la porti da casa. Ma siamo o no nel 2023?
Una madre, un padre precario alle esigenze dei propri figli è costretto a utilizzare un vocabolario a parte, quello del precario: vedremo più avanti, faremo il prossimo mese, ora non si può, ci sono altre urgenze, questo mese non ce la faccio. E si procede nell’Incertezza, nel dubbio, con l’impossibilità di rispondere come si vorrebbe a un figlio o una figlia che nel frattempo nel tema a scuola scrive: mio papà fa il precario. Una condizione che si perpetua da troppo tempo; ecco perché pensiamo che sia giunto il momento di dare una svolta vera per i 310 lavoratori della Legge 15.
Bisogna che la politica, assieme alle forze sindacali, aprano sbocchi, diano sostanza con un contratto vero ai fiumi di parole che nel tempo si sono dette e scritte. Sarà Calabria Verde, sarà altra sistemazione, ma non si perpetui oltre questa che nel tempo si è trasformata in una sudditanza, un’offesa, una mortificazione alla dignità umana. Sono uomini e donne di questo territorio, sono padri e madri ai quali non bastano più le promesse, è giunto il momento di sostanziare un’azione risolutiva che ponga fine alla loro precarietà. Ora servono solo fatti concreti.
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