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VOGLIAMO DIRE CHE SONO TUTTI UGUALI? NO! di Salvatore Audia

Lo stesso articolo è presente nel numero di maggio de "IlQuindicinale"


Neanche gli eroi lo sono. Si rifletteva sull’adeguatezza o menodell’utilizzo di importanti simboli che l’Italia può vantare di avere - uomini che storicamente rappresentano da un lato la denuncia contro il malaffare e la sopraffazione dall’altro la libertà di espressione - come accade a San Giovanni in Fiore per Peppino Impastato. Un pugno allo stomaco hanno detto in tanti, qualcosa di dissacrante. Non già per la intitolazione in sé, che per carità, ci può pure stare – Impastato è di tutti gli italiani - ma questa mossa sa di azzardo, è apparsa come una vera è propria provocazione. Come se i sangiovannesi non sapessimo nulla della storia recente di questa nazione; qualcuno si muove decidendo sul da farsi come se non sapessimo o non ricordassimo che la storia giudiziaria del fondatore di Forza Italia, Silvo Berlusconi, ha collimato per anni con quella stessa “cosa nostra” che il 9 maggio 1978 a Cinisi (PA), assassinò Impastato facendolo saltare in aria – 6 chili di tritolo dilaniarono le carni di Peppino disperdendole nell’area circostante - quella stessa mafia - come dice una storica sentenza della Cassazione - che veniva foraggiata con ingenti somme, da Berlusconi attraverso Dell’Utri, soldi utili per la sua protezione personale e soprattutto per la protezione del suo impero economico. Provate ad immaginare cosa sarebbe accaduto se il Sindaco di Genova, consigliato da Giovanni Toti e dai suoi amici, avesse intitolato una piazza o una via a Peppino Impastato? Si sarebbero sollevate le piazze. Giusto hanno fatto quindi, chi attraverso post sui social, chi attraverso articoli, a denunciare che è stato quantomeno inopportuno intitolare uno spazio del paese (mesi prima violato con la traslazione di un monumento che storicamente univa tutti), utilizzando un simbolo in quello spazioche per sua genesi è lontano un milione di chilometri da certi apparati e da certa storia. Si chiama opportunità.


Nell’approssimarsi delle elezioni europee, attraverso le quali vedremo ancora assottigliarsi il numero degli elettori, e per effetto delle varie inchieste della magistratura, in ultimo Puglia e Liguria, la frase che più si sente pronunciare è proprio parte del titolo dato al pezzo di questo mese: “sono tutti uguali, non ne vale uno, non andrò a votare”. Ed è proprio questo che la politica vuole cari lettori, che i cittadini non vadano a votare, così sarà sempre più ristretta la cerchia di chi sceglie la classe dirigente che avrà nelle mani il potere di decidere su tutti. Non c’è cosa più sbagliata che dire: “sono tutti uguali”, semplicemente perché tutti uguali non sono. Se avessimo un po’ più di giudizio critico, se ragionassimo con onestà intellettuale, sapremmo senz’altro a chi affidare il nostro voto. Ma si sa da noi si vota per altri motivi: per amicizia, per una buca aggiustata davanti alla propria porta, per la prenotazione di un consulto medico, per un figlio o una figlia a cui è stata data una mano a trovare un lavoro – ovviamente precario; noi confondiamo i diritti coi favori, non distinguiamo più il bene e il male, siamo attaccati al nostro orto come fosse la nostra unicasalvezza, dimenticando sempre che “libertà, giustizia, collettività”– come predicava Impastato - sono i beni più preziosi.

 

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